Stupor Mundi si è rivelato da subito un libro di grande spessore sia nell’impianto grafico che nei contenuti.
La struttura narrativa, quella di un vero romanzo, è infatti accompagnata da uno stile grafico peculiare e che ha dato adito a molteplici interpretazioni.
Partendo proprio dal disegno abbiamo infatti discusso a lungo. Lo stile minimalista con un ampio uso di blocchi di colore ha senza dubbio la funzione di non distogliere l’attenzione dalla storia, ma è altrettanto vero che nel modo di presentare l’immagine come se fosse l’impressione di un negativo, l’autore conferisce maggior forza alla storia, giocando con i disegni come con la narrazione sulla sottile linea che divide il ricordo dall’oblio e quindi il sapere, la conoscenza e la consapevolezza di sé dall’ignoranza e la confusione.
Questi infatti i temi che a nostro avviso più fortemente emergono dalla lettura del fumetto, che è un’opera complessa e densa, piena di rimandi alla tradizione letteraria, alla filosofia, alla pittura e alla scienza, un’opera che ha quindi tutta la forza del vero romanzo. Ci siamo fermati a considerare come Stupor Mundi sia effettivamente annoverabile tra i pochi romanzi a fumetti che abbiamo letto nel corso dei nostri incontri e questo ovviamente senza nulla togliere alle altre belle opere a cui ci siamo accostati. Semplicemente, volendo dare una rispondenza al termine graphic novel, Stupor Mundi si candida ad essere annoverato tra questi a pieno titolo.
La narrazione si incentra sulla storia di Annibale Qassim El Battuti, insigne scienziato e filosofo, intento a mettere a punto la sua grande invenzione e allo stesso tempo impegnato a rimanere nelle grazie dell’imperatore Federico II di Svevia. Più punti di vista e filoni narrativi si intrecciano e potremmo con la stessa sicurezza dire che la storia si incentra su Houde, figlia dello studioso che ha la straordinaria capacità di imparare a memoria tutto ciò che legge. Ma qualcosa continua a sfuggire dalla memoria della ragazza: gli eventi che hanno portato alla fuga della sua famiglia dal califfato e contestualmente alla morte di sua madre, sono avvolti nel mistero e per quanto si sforzi Houde non riesce a ricordare. Si trova smarrita, tradita da quello che è sempre stato il suo grande dono e si mette in cerca di risposte.
Annibale e Houde sono senza dubbio i due personaggi centrali e le due linee portanti della narrazione ma altrettanto importante appare la storia del Ghul o quella di Khanfus, personaggio peculiare sia nella resa grafica che nella storia che lo caratterizza. Ci ha affascinato scoprire che l’esperimento sul linguaggio di Khanfus è protagonista – tre bambini allevati in isolamento senza alcun contatto con il linguaggio – sia storicamente attestato. Abbiamo dovuto riconoscere quanto scienze e tecniche fossero incredibilmente avanzate in un periodo che ancora oggi viene considerato da molti il secolo buio. Di quel buio vediamo un accenno nel monaco Gattuso che però rimane un uomo di grande sapienza, che non risponde ciecamente ad un dettame ma segue con tenacia la propria idea di giustizia.
Ci troviamo insomma davanti ad un romanzo corale, perchè è la coralità a distinguere un vero romanzo.
Molti gli spunti che sono nati dalla lettura, molti altri dalla discussione. Abbiamo riflettuto sulla ricezione di questo fumetto come sintesi di dialogo tra cultura mediorientale e cultura europea. Ci siamo trovati solo parzialmente d’accordo con questa idea poiché il romanzo stesso scardina l’idea di Europa come oggi ci viene proposta, abbattendo alla base la distinzione fittizia tra cultura “altra” e cultura “nostra”. L’autore ci mostra semplicemente un mondo in cui i confini non sono invalicabili, soprattutto grazie alla scienza e ai saperi ai quali viene riconosciuta una forza universalizzante. Gli uomini in questo contesto vengono valutati esclusivamente per le proprie capacità e non per la loro provenienza. Questa visione tutt’altro che utopistica sembra perfettamente coerente con il contesto storico che racconta. Ci troviamo infatti in un momento storico in cui una fortezza pugliese era crocevia per grandi pensatori provenienti da ogni dove, attirati proprio dalla possibilità di confrontarsi con altre grandi menti, al riparo da oscurantismi e dogmi legati alla religione. Lo Stupor Mundi, Federico di Svevia, passò infatti alla storia come sovrano assoluto, indipendente anche rispetto ai dettami di una chiesa ancora potente e accentratrice. Immergendoci tra le pagine di Stupor Mundi, dobbiamo riconoscere che il confine tra arti e scienze si assottiglia e svela la finzione di distinzioni inesistenti. Annibale, è filosofo, scienziato, letterato uomo di spirito e di ingegno, quello che noi chiameremmo uomo rinascimentale, e questo fa venire il dubbio che la settorializzazione e i particolarismi, l’ossessivo ricorso a limiti e confini, siano frutto esclusivo del nostro tempo.
Lo scienziato si trova infatti messo di fronte ad una domanda scomoda “a che cosa serve?”
L’invenzione che è a metà strada tra scienza e arte non trova una collocazione chiara e quindi è difficile valutarne “l’utilità”. E per questo diventa monito, viene condannata e respinta. Nel trovarne un’utilità Annibale si troverà a divenire impostore. Il sapere e l’arte al servizio della spendibilità diventa inevitabilmente artefatta e posticcia e quindi un inganno.
Ma sebbene sia complice di questa grande o piccola macchinazione, la nostra impressione su Annibale non cambia, non lo immaginiamo corrotto dal potere ma ben saldo sulle proprie convinzioni.
In conclusione abbiamo trovato che Néjib ci pone di fronte ad una verità molto semplice: identità e memoria sono due realtà inscindibili. Se oscuriamo una parte della nostra storia, sia essa personale o collettiva, ci priviamo inevitabilmente di una parte della nostra umanità.