Nel nostro percorso tematico sul fumetto giapponese e asiatico, abbiamo deciso di prendere in esame una delle opere più caratteristiche di Jirō Taniguchi: Furari edito da Rizzoli Lizard nel 2012 e tradotto da Vincenzo Filosa.
Il fumetto presenta una narrazione cadenzata e poetica, una continua giustapposizione di immagini e rimandi guida il lettore ad immergersi completamente in un’atmosfera confezionata ad arte, probabilmente con un occhio particolare al lettore europeo o comunque non giapponese. La storia segue le vicende del cartografo Tadataka Ino, in un susseguirsi di episodi durante i quali la prospettiva del protagonista si mescola con quella di diversi animali che in un modo o nell’altro ne intrecciano il cammino e ne plasmano la fantasia. Il cartografo, uomo sapiente e ormai in pensione trascorre le sue giornate misurando la città in cui vive e perfezionando il suo metodo con l’aspirazione di poter un giorno misurare distanze più grandi. Il protagonista è spesso in cammino, e come il più classico dei topoi sulla cartografia, misurando i propri passi e la città il protagonista conosce e si conosce, fa i conti con la storia e con il suo passaggio all’interno di questa. Per comprendere più a fondo si misura con il punto di vista degli animali che nel loro essere presenze marginali, non caratterizzabili, rappresentano però un’idea di eternità, di presenza simbolica e costante. Così il protagonista diventa gatto per scoprire la bellezza che non è mai volgarità, diventa falco per mettere distanza tra sé e il mondo e così facendo scoprire i dettagli che creano un insieme maestoso, diventa libellula per cogliere le mille sfaccettature che la realtà offre, diventa tartaruga per immergersi nello scorrere del tempo. Il protagonista, e con lui il lettore, si lascia sorprendere, accoglie con serenità i nuovi punti di vista e ne diventa sintesi. Anche solo l’idea di un punto di vista altro apre a infinite possibilità, è l’elefante infatti che con la sua assenza ispira al protagonista la costruzione di un nuovo strumento di misurazione. Se gli animali lo aiutano a leggere il mondo e se stesso nel mondo, le relazioni dànno un senso e uno scopo a questa presenza. L’incontro con il poeta Kobayashi Issa determina in senso politico il suo sogno e la sua ambizione. La “vocazione” del poeta lo porta ad essere ramingo e a vivere dell’aiuto di quanti apprezzano la sua arte, ma non esiste altra vita per lui degna di essere vissuta, nessuna vita che allo stesso modo lo farebbe rimanere fedele a se stesso. Allo stesso modo il cartografo è in “dovere” di misurare il mondo, quella è la sua arte e quello è il suo scopo, il suo vero posto nel mondo. Non è quindi strano che non solo non venga ricompensato, ma anzi debba investire soldi ed energie per poter misurare letteralmente misurare il mondo e compiere così la sua opera più grandiosa. Incontriamo infatti il protagonista ormai in pensione, in grado di mettersi completamente al servizio della sua passione del suo ikigai, il motivo per cui vale la pena vivere, e il poeta o il pittore che il protagonista incontrerà lungo la strada lo aiuteranno a comprendere l’importanza di aderire a quello scopo e attraverso quello scoprire se stesso.
Ma la relazione più significativa è senza dubbio quella con la sua compagna di vita. Attraverso la figura di questa donna, l’autore veicola il messaggio fondamentale dell’intera opera, non è quindi un caso che sia l’unico personaggio a tornare costantemente nelle avventure del cartografo. Nella relazione tra i due, infatti è la poesia del quotidiano a risaltare è il lirismo della consuetudine, della familiarità e della pace data da un intimità vera, mai tradita nonostante gli ostacoli e le distanze che a volte sembrano divenire incolmabili.
Nessuna scelta stilistica è casuale nella narrazione, Taniguchi ci spinge ad essere parte della storia, ad essere parte dell’atmosfera, per questo i rimandi sono chiari anche per noi che abbiamo del mondo che descrive solo una conoscenza mediata. Si richiama palesemente alle vedute del monte Fuji di Hiroshige, ricalca le atmosfere dei romanzi di Kawabata, infarcisce i dialoghi degli haiku più famosi, così che chiunque sappia leggere e interpretare il messaggio, per distante che sia.
E questo lirismo quotidiano è il messaggio più forte che l’opera trasmette, l’autore che probabilmente vede se stesso nel protagonista, ci invita a rivedere il nostro sguardo sul mondo, non vuole raccontarci qualcosa, vuole farci passeggiare in un mondo capace di sorprenderci ad ogni passo. Il titolo stesso dell’opera ne è il suo manifesto: Furari – senza meta. Non c’è un punto di arrivo nella storia, la narrazione non racconta, mostra e trasmette, lo stesso scopo del protagonista rimane in sospeso, non sappiamo se raggiungerà il suo obiettivo, ma non importa, sappiamo che metterà a frutto la sua passione e le sue relazioni, per essere una nota in armonia con il resto, e per questo è per noi un esempio semplice e potente di felicità.
Leave a Reply